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Insieme contro l’epilessia

Il secondo sabato di ogni mese l’Associazione Epilessia diventa uno spazio in cui confrontarsi. Insieme alla counsellor Stefania Vulcano affrontiamo i problemi che emergono a scuola, a casa e sul lavoro. È un momento di condivisione importante e oggi abbiamo deciso di ri-condividere con voi sentimenti, emozioni e paure emerse nell’ultimo incontro.

Di Lara Mariani – 13 novembre 2019

Sabato scorso, per la prima volta ho assistito a uno degli incontri di Auto-Aiuto che si svolgono presso la sede di AEER. Il presidente, Tarcisio Levorato, mi aveva anticipato che sarebbe stato un momento importante, ma non avevo immaginato fino a che punto.

Tanto che prima di scrivere ho riflettuto a lungo. Non sapevo se fosse giusto “pubblicare” una esperienza così intima e profonda. Poi ho deciso di farlo, perché nel limite del rispetto della privacy delle persone coinvolte, è giusto che certe cose si sappiano.

È giusto che si sappia che c’è un luogo in cui le persone con epilessia possono sviscerare i loro sentimenti e le loro paure.

È giusto parlare dei problemi che i genitori affrontano ogni giorno a scuola e fuori da scuola.

È giusto parlare del lavoro che manca, delle pensioni di invalidità che non arrivano, dello stigma che colpisce chi è già colpito dall’epilessia.

Cosa non è giusto?

Che le persone con epilessia continuino a lottare contro l’ignoranza.

Ma cominciamo dall’inizio.

Quando alle 16.00 ho varcato la porta dell’associazione le prime persone che mi hanno salutato sono state Barbara e il suo papà. Lei era tutta rattoppata, con un vistoso cerotto sul mento e con un foulard azzurro che le ricopriva la testa. Entro in sala e Barbara mi accoglie con un sorriso “Piacere Lara, scusa se sono un po’ malconcia, ma ho avuto una crisi mentre stavo facendo yoga. Di solito durante le crisi mi rompo il naso, questa volta è toccato al mento”.

Lei e il suo papà, lo scoprirò durante l’incontro, sono una forza della natura. Anche dopo giorni e giorni di ricovero in ospedale (l’ennesimo) riescono a scherzare sulle condizioni di Barbara.

Questa volta è stata fortunata perché la crisi è arrivata durante la lezione di yoga e in quel contesto tutti sapevano cosa fare. Ma non è andata così bene in passato, quando la crisi è arrivata alla fermata dell’autobus.

A quel punto però interviene il papà, è lui che vuole raccontare. “Pensate che io in quel periodo lavoravo in ospedale e improvvisamente mi hanno chiamato per avvisarmi che c’era Barbara al pronto soccorso. Io, ancora con il camice, sono corso da lei. La solita crisi. Il solito naso rotto e la solita trafila in ospedale. Un’unica variante, questa volta mi si avvicina un collega e con un filo di voce mi chiede:

“Scusa Silvio, ma tua figlia si droga?”

“Bhà, che io sappia no, ma perché me lo chiedi?”

“Sai, Barbara è arrivata in ospedale con un tossico che conosciamo molto bene e che ogni due giorni è qui per il metadone”.

A quel punto però Barbara vuole riprendere le fila del racconto e con un certo impeto, ma con il sorriso che la accompagna sempre interviene: “Certo perché con tutta la gente che c’era alla fermata, l’unico che mi ha raccolto, preso tra le braccia e portato in ospedale è stato lui!”.

Mentre scrivo e riordino i pensieri ho ancora i brividi. Possibile che solo lui si sia preso la briga di aiutarla?

Possibilissimo. Purtroppo. Tutti gli altri avevano paura, di cosa non si sa.

Dopo Barbara ha preso la parola una ragazza di cui non farò il nome per motivi che capirete tra poche righe. Lei, 20 anni e dolcissima, era lì per il suo fidanzato a cui è stata diagnosticata l’epilessia circa un anno fa. Era lì da sola a confrontarsi con gli altri, perchè il suo ragazzo si era rifiutato di partecipare. Lui non vuole parlare della sua malattia. E non vorrebbe neanche che ne parlasse lei. Ma lei è comunque con noi, del resto è innamorata e non si arrende, anche se lui è in una fase di rifiuto costante. Prova rabbia, vergogna e ansia. Lei invece ha paura. Paura di non riuscire ad aiutarlo durante le crisi, paura che lui si senta in colpa. Ed è per questo che è seduta con noi, per far sì che la paura non diventi una dimensione interna.

Stefania, la psicologa che con grande delicatezza segue l’incontro, la rassicura e al tempo stesso spiega a tutti noi che è giusto rispettare la “non accettazione” della malattia, è comunque una forma di rispetto nei confronti di chi soffre.

Inoltre dobbiamo aggiungere che l’ignoranza rispetto a questa malattia è ancora talmente radicata che la vergogna e il disagio nei confronti degli altri sono comprensibili. Un’ignoranza che porta il papà di Martina a diventare furioso quando scopre che la figlia non viene inviata alle feste di compleanno dei suoi compagni di scuola per paura che stia male e metta a disagio gli altri bambini. Un’ignoranza che porta le sue maestre a chiamare immediatamente l’ambulanza quando ha una crisi, invece che soccorrerla nel modo giusto e come è stato loro insegnato.

Un’ignoranza latente che dobbiamo combattere affinché i bambini, gli adulti e gli anziani con epilessia vengano trattati con il rispetto che si deve a tutti malati.

Un rispetto che esclude l’emarginazione e la vergogna.

Ore 17.30 lascio l’associazione con il sorriso di tutti i partecipanti stampato in testa. La forza di Barbara e Silvio, la grinta del papà di Martina, l’amore incondizionato dei 20 anni. 90 minuti di match intenso e profondo. In quei 90 minuti l’epilessia ha perso e l’inclusione ha vinto. Il prossimo match è per sabato 7 dicembre.

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